
Progettare un sito in ottica SEO significa progettare una struttura capace di guidare chi legge, ma prima ancora di farci trovare da chi ha bisogno di quello che offriamo ma non ci conosce ancora.
Vediamo come scandagliare i contenuti esistenti, progettarne di nuovi e mettere tutto in ordine per costruire un’architettura che parla agli utenti e ai motori di ricerca.
1. Scattiamo la fotografia del sito attuale
Partiamo costruendo una mappa dettagliata di tutto ciò che il sito ospita. Con un crawler (per esempio Screaming Frog) esportiamo la lista completa degli URL, insieme perloomeno al loro title HTML e al loro stato di indicizzabilità.
Importiamo poi nel foglio di lavoro altri dati: le sessioni (visite), le conversioni (key events) di Google Analytics 4 e le impressioni e/o i clic di Google Search Console.
Capiremo così quali pagine esistenti nella versione attuale del nostro sito sono più interessanti e meritano dunque probabilmente di essere riportare nella nuova versione. Alcune pagine potremo riportarle così come sono, altre le andremo a modificare profondamente, altre ancora decideremo di elminarle.
2. Progettiamo la nuova versione del sito con lo studio keyword
Una volta fotografata la situazione attuale, ci mettiamo a mescolare tutte le informazioni che abbiano intorno all’azienda e alla sua offerta per progettare la nuova struttura del sito, integrando le pagine esistenti con altre pagine utili.
Raccogliamo le domande dei clienti, i nomi dei servizi, corsi o prodotti e i termini che usiamo nelle proposte commerciali: queste “parole seme” le useremo nel nostro strumento di keyword research, come ad esempio Semrush, che ci restituirà volumi di ricerca e varianti utili.
Scartiamo ciò che non è rilevante e raggruppiamo le keyword in blocchi tematici e da lì disegniamo l’ossatura del sito: a ogni gruppo corrisponderà una pagina, senza sovrapposizioni né buchi di contenuto.
3. Diamo forma alle pagine base, partendo dai cluster
Leghiamo ora i cluster di parole chiave a tre pagine base del sito: Home, Chi siamo e Contatti.
La home sarà ottimizzata intorno ai termini che descrivono la nostra proposta di valore o, ancora più chiaramente, quello che facciamo (produciamo biberon biologici o vendiamo servizi di consulenza fiscale).
Chi siamo sarà costruita intorno alle query legate al brand e alla reputazione: apriamo con «che cosa facciamo per te», inseriamo volti e nomi reali – parole che gli utenti digitano quando vogliono capire se siamo affidabili – e chiudiamo con una chiamata all’azione utile.
Infine, Contatti canalizza le ricerche locali o legate al bisogno di assistenza in una pagina snella che conterrà l’indirizzo se è rilevante, gli orari di apertura o i tempi di risposta e un modulo di contattto.
Per tenere tutto in ordine usiamo una regola semplice: ogni cluster trova casa, corrispondenza in un solo punto, evitando che la stessa keyword sia utilizzata per costruire pagine diverse.
4. Le pagine servizio, dove il lettore si avvia a diventare cliente
Chi atterra su una pagina servizio arriva spesso da keyword transazionali ed è già in un punto avanzato del suo customer journey, o viaggio del cliente.
Tocca a noi facilitare la decisione finale con un titolo descrittivo o, se il nome del servizio è creativo, con un sottotitolo didascalico. Nei paragrafi iniziali elenchiamo i problemi che risolviamo, spieghiamo a chi ci rivolgiamo e descriviamo passo passo cosa include il servizio, senza risparmiare dettagli su tempi e modalità.
La trasparenza sul prezzo, la presenza di testimonianze credibili e qualcosa che permetta di prenotare il servizio o contattarci in modo semplice, faranno la differenza. Un’impaginazione pulita, eventuali utili e blocchi di testo separati da titoletti, faciliteranno poi la lettura, sia da parte degli utenti, sia dei motori.
5. Schede prodotto: l’esperienza d’acquisto che ci si aspetta
Nell’e-commerce gli utenti misurano spesso tutto usando i grandi shop, come Amazon, come metro di comparazione, soprattutto per quanto riguardo la procedura di acquisto in senso stretto.
Nella nostra scheda utilizziamo dunque un nome prodotto chiaro, arricchito – se serve – da un sottotitolo descrittivo, e apriamo con una descrizione breve, per spiegare cos’è il prodotto e a cosa serve. Sotto forniamo una descrizione più corposa, con esempi d’uso e una scheda tecnica, con eventuali dettagli sulla cura e la conservazione del prodotto.
Chiudiamo con una selezione ragionata di prodotti complementari: proporre prodotti da abbinare sensati e selezionati con cura, aumenterà lo scontrino medio e renderà i nostri clienti più contenti.
Foto professionali, recensioni aperte e un percorso d’acquisto successivo all’aggiunta al carrello senza passaggi superflui completeranno il tutto.
6. Pagine informative e articoli, spiegare per farsi trovare
A volte le persone non stanno cercando un servizio, almeno non ancora. Vogliono prima capire: cosa significa una certa parola, come funziona una certa cosa, quali sono le differenze tra due opzioni. Cercano cose tipo “cosa sono i probiotici” o “come si usa il congiuntivo in tedesco”. In questi casi non ha senso provare a vendere subito: meglio rispondere bene, con una pagina fatta apposta che la funzione primaria di farci trovare.
Una pagina informativa deve essere completa e ordinata. Dovrà contenere tutto quello che c’è da dire sull’argomento, idealmente senza lasciare buchi tematici, e avere una struttura chiara, con titoletti di sezione e paragrafi chiari. Se il testo è lungo, aggiungiamo un sommario all’inizio, così si può saltare direttamente al punto che interessa.
Alla fine non serve una call-to-action aggressiva, ma potrebbe essere più utile una call-to-action morbida: l’iscrizione alla newsletter, oppure un link a un canale Telegram dove offriamo altri contenuti informativi. L’obiettivo qui è essere utili e farsi trovare.
Lo stesso vale per gli articoli del blog, che sono pensati per approfondire un tema secondario (un aspetto di un servizio, una domanda ricorrente), raccontare un aggiornamento (una novità, un evento, un cambiamento normativo), oppure per accompagnare una campagna o un periodo particolare. Sono più leggeri, sia nel livello di esaustività, sia nella struttura. Possono avere una vita breve oppure diventare parte di una strategia di contenuti a lungo termine, ma non nascono per presidiare una keyword fondamentale da sola.
Le pagine informative ospitano invece contenuti stabili, che rispondono a ricerche che riguardano aspetti fondamentali del nostro lavoro e sempreverdi. In sintesi, la pagina informativa è progettata per durare e portare traffico in modo costante, l’articolo serve per integrare, approfondire, raccontare.
Entrambi non spingono alla conversione diretta, ma portano persone giuste nel momento giusto, e tengono acceso il sito nel tempo.
7. Tassonomie: categorie e tag senza fare confusione
Categorie e tag sono tassonomie, cioè sistemi per classificare i contenuti. Non si usano su tutto il sito, ma solo per organizzare tipologie di pagine particolari, tradizionalmente gli articoli del blog o le schede prodotto. Servono a dare ordine e non a moltiplicare le pagine.
Le categorie raggruppano contenuti dello stesso tipo dentro un tema più ampio. Ad esempio, in un blog, possiamo usare una categoria per ogni argomento principale che trattiamo. Ogni articolo dovrebbe appartenere a una sola categoria: se ce ne vogliono due troppo spesso, probabilmente la classificazione non è chiara. Le categorie vanno decise a monte, sulla base dello studio delle keyword, e non cambiate ogni volta che pubblichiamo qualcosa.
I tag, invece, servono a collegare contenuti diversi che condividono un aspetto trasversale. Non devono ripetere le categorie, né esserne sinonimi. Un tag ha senso solo se aiuta davvero a scoprire altri contenuti utili, e solo se è usato più di una volta. Se lo abbiniamo a un solo articolo, è inutile e crea confusione.
In sintesi: categorie e tag non si aggiungono per abitudine, ma solo se rendono più facile a motori e lettori orientarsi tra contenuti simili.
8. L’ottimizzazione on-page
Quando abbiamo chiarissima la struttura del nuovo sito, possiamo dedicarci alla scrittura degli elementi SEO per ciascuna pagina: il title (quello che appare nei risultati di Google); la meta description, che non influenza il posizionamento ma attira i clic nella pagina dei risultati di Google; lo slug dell’URL, che deve essere corto, leggibile e coerente con il contenuto e controlliamo gli altri elementi (link interni, h1, voci menu).
Gli elementi SEO si scrivono sulla base sulle keyword studiate in precedenza.
Questo lavoro va fatto anche per le pagine che esistono già: se le teniamo, rivediamo comunque questi elementi. Magari il contenuto della pagina andava bene, ma il title è debole, troppo vago o identico a quello di altre pagine. In quel caso, lo riscriviamo.
9. Prima del lancio
Prima del lancio della nuova versione del sito, ci sono alcune cose da fare per non perdere traffico e far sì che il sito funzioni davvero fin dal primo giorno.
La cosa più importante è preparare i redirect 301: ogni vecchia URL che cambia dovrà reindirizzare alla nuova corrispondente. Poi ci sarà tutta una parte di cose SEO tecniche: preparare la sitemap XML, controllare che il file robots.txt non blocchi niente di utile, verificare che le pagine siano tutte indicizzabili, ad eccezione di quelle che non vogliamo che lo siano perché ad esempio sono filtri o pagine di servizio.
Occupiamoci poi di impostare il tracciamento del traffico: assicuriamoci di aver installato Google Analytics 4 e che funzioni.
Facciamo infine un crawl completo del sito, ad esempio sempre con Screaming Frog, per individuare link rotti, errori 404, titoli duplicati o pagine rimaste senza contenuto. Tutto questo va fatto prima della messa online.
Appena andiamo online, teniamo d’occhio Google Search Console: un picco di errori di copertura o un calo improvviso di impression potrebbe essere il segnale ad esempio che abbiamo commesso qualche errore nel preparare i redirect. Intervenire nelle prime 48 ore eviterà i danni più grossi.
10. Monitoraggio continuo: una dashboard che ci aiuta
Ci potrà essere utile in questo senso una dashboard che unisce i dati di Google Analytics 4 e quelli di Google Search Console.
Nei primi due mesi potremo consultarla quasi ogni giorno per verificare cali o picchi di traffico, cambiamenti nelle abitudini di acquisto o nelle query con cui ci trovano, o ancora variazioni nelle pagine di atterraggio.
Quando i numeri si stabilizzano, la stessa dashboard diventerà la base per controlli mensili o trimestrali, per verificare la crescita del traffico organico, il tasso di conversione delle varie pagine e la reale utilità delle sezioni informative, così potremo decidere quali contenuti aggiornare ulteriormente, quali contenuti in più creare, quali modifiche fare all’ottimizzazione on-page e così via.