
In questi giorni riflettevo su Twitter: è uno spazio piuttosto libero, perché non si sono ancora registrati tutti, è possibile interagire facilmente con sconosciuti se quello che dicono ci interessa, è pieno di gente curiosa e fissata coi libri o con radio tre o altre cose simili, tra il fricchettone, l’impegnato e il nerd.
Allora mi sono venute in mente le chat di fine anni Novanta.
Le chat del millenovecentonovantanove – quando mi sono connessa ad Internet per la prima volta – erano piene di gente, ma non sovraffollate: c’erano impiegati, lettori forti, musicisti, adolescenti, fissati con l’informatica, reduci degli anni Settanta, impiegati, periti, studenti.
La maggior parte era mossa da una curiosità sfibrante, che l’aveva portata a comprare – o a convincere i parenti a farlo – il modem, attaccarsi al buffo provider di zona, visitare tutti i siti di cui conosceva l’esistenza solo per vedere com’erano – anche chessò quello di una banca – e passare le notti sveglia vagando tra le chat aperte al pubblico, oggi scomparse, alla ricerca di persone vicine geograficamente o con interessi in comune, sparse per il mondo.
Quelle prime chat erano strabilianti: si usavano un nome di fantasia e molte emoticon, si interagiva liberamente tra sconosciuti ma non c’era spam pubblicitario o sessuomane e ci trovavi una quantità di persone con interessi simili ai tuoi, che ti raccontava di tutto senza invadenza, che ti permetteva di scoprire altri mondi e altre vite e a cui potevi raccontare la tua adolescenza, la tua visione del mondo, le tue fissazioni fino all’alba, con naturalezza.
C’erano le chat con le stanze divise per argomenti, accessibili direttamente dal web, tipo Digiland, o attraverso un programmino da installare, tipo il #mirc, e poi c’erano i programmi di chat con il profilo utente – antesignani di Skype ed MSN, per nascita o per diffusione in Italia – come ICQ e l’italiano C6.
Su ICQ c’era un sistema per chattare in tempo reale, in cui quello che digitavi compariva direttamente, senza il filtro dell’invio ed era troppo bello, per gli adolescenti innamorati, conservare i file di quelle chat, con cui potevi riprodurre in qualsiasi momento le esitazioni e le incertezze di quelle conversazioni vintage.
Su C6 potevi cercare la gente per luogo – e conoscere così a caso un compagno di scuola che non avevi mai visto – oppure per gli interessi che uno aveva selezionato, e trovare magari attraverso il campo “film drammatici” il tuo primo amico di chat, con cui poi saresti rimasta in contatto per gli anni a venire.
Peraltro ho scoperto anni fa, leggendo un vecchio articolo su Repubblica, che prima delle chat anni Novanta erano esistite persino le chat anni Ottanta, fatte su schermi a caratteri verdolini e accessibili solo da alcune città, ma pure loro in grado di spalancare universi interi (cit.)
Ad ogni modo poi, già dai primi anni duemila, vennero il web di massa, lo spam, la pubblicità, il dilagare del chatto-per-cercare-tipo-un*-fidanzat*-o-un*-amante. Allora la gente che voleva solo parlare delle sue fissazioni cultural-esistenziali sparì dalle chat libere e si trincerò dietro MSN, Skype o Facebook.
Twitter però rievoca un po’ l’atmosfera di quelle chattate pioniere di fine secolo, anche se in realtà, per rendere la rievocazione un po’ più concreta, avrebbe bisogno proprio di un’applicazione chat ^___^