A febbraio del 2012 è stato pubblicato The Lifespan of a Fact (New York : W. W. Norton & Company), un libro che racconta la strenua lotta tra un raccontatore di favole e un controllore di fatti.
Questo libro racconta, dilatandola a dismisura e scandagliandola, una tappa della vita dell’articolo del saggista americano John D’Agata.
L’articolo, intitolato What Happens There, raccontava del suicidio di un adolescente a Las Vegas nel 2002. Il ragazzo si era lanciato dall’altissima torre dello Stratosphere, un celebre hotel-casinò: D’Agata ricostruì il fatto e lo prese a pretesto per raccontare bagliori e malinconie della strana città nel deserto.
L’articolo venne proposto inizialmente ad Harper’s, un prestigioso mensile americano di cultura e politica, che lo rifiutò. What Happens There passò così a The Believer, un’altra rivista americana che si occupa di letteratura.
A questo punto D’Agata si imbatté in Jim Fingal, uno stagista della redazione addetto al fact-checking, ovvero alla verifica di nomi, date e avvenimenti raccontati negli articoli da pubblicare. Fingal iniziò a controllare i fatti e si accorse di varie discrepanze.
Si trattava di cose minime, ma comunque false, a rigore. Ad esempio, l’autore aveva ipotizzato un percorso in direzione dell’hotel piuttosto inverosimile, ma pieno di luoghi dai nomi affascinanti. O ancora, aveva spacciato per contemporanei al suicidio alcuni episodi stravaganti che facevano molto Las Vegas ? tipo il ritrovamento archeologico di una bottiglia di Tabasco ? accaduti invece in altre giornate.
Il confronto tra i due diventa questo libro, The Lifespan. D’Agata, in questo confronto, assume le vesti del paladino della scrittura avvincente, capace di creare immagini e restituire contesti piuttosto che di informare in senso stretto; Fingal invece prende le parti dei fatti, della veridicità delle informazioni, dell’accuratezza delle ricostruzioni.
D’Agata ne approfitta quindi per dire che rigetta le definizioni contemporanee di non-fiction (nella quale rientra tutto ciò che non si presenta chiaramente come romanzo, racconto, invenzione) e di saggistica: l’essay (saggio) per lui dovrebbe incarnare nuovamente il proprio significato etimologico (identico in inglese e in italiano) di tentativo, prova, esperimento.
In realtà poi The Lifespan stesso non è realmente la corrispondenza tra i due che diventa libro, ma un dialogo esasperato e in parte ricostruito per l’occasione, per rendere la lettura più interessante, appunto.
Il libro è stato molto recensito, ad esempio dal New York Times con l’articolo The Fact-Checker Versus the Fabulist, tradotto in italiano da Internazionale del 13 aprile, o dal blog The Daily Beast. Tutti hanno colto l’occasione per discutere sul confine tra irresponsabilità nei confronti del lettore e licenza poetica, dovere di informare e bisogno di affabulare.
Intanto io pensavo alla correttezza delle informazioni sul web, in particolare in quei testi che nascono per l’article marketing o più in generale per favorire il posizionamento di un sito o di un blog sui motori di ricerca.
Il problema in questo contesto è diverso, preliminare: a volte per questo genere di lavori non è che uno forzi i fatti per scrivere un pezzo più interessante, ma piuttosto prende cose alla rinfusa, senza verificarne l’attendibilità, tanto per mettere insieme un po’ di righe di senso compiuto.
La lotta non è tra bellezza e verità, ma tra brutte menzogne e cose magari altrettanto brutte, ma un minimo attendibili.
Questi articoli spesso vengono pagati pochissimo, anche 50 centesimi lordi per un pezzo di 300 parole. Chi scrive a queste tariffe peraltro probabilmente non scrive per vivere ? non se vive in Italia perlomeno ? oppure scrive ad una velocità supersonica. Per guadagnare 6€ lordi l’ora a queste tariffe è necessario infatti scrivere 12 articoli in un’ora, ovvero 1 articolo ogni 5 minuti O___o
Ad ogni modo, il risultato è che il web è pieno di contenuti spazzatura, soprattutto per alcuni settori che hanno buoni budget e investono parecchio nel web marketing, tipo chessò la chirurgia plastica. Provando a digitare “rinoplastica” su Google ad esempio, compaiono decine e decine di risultati che non sono altro che parole di Wikipedia rimescolate, storpiate, non verificate.
I contenuti spazzatura disturbano l’utente, facendolo perdere nei meandri di frasi vuote e incerte incollate insieme, che gli impediscono di trovare quello che cerca, di acquisire conoscenze anche minime.
Per un altro verso però, i testi per il web originali e realmente informativi sembrano il mantra del momento e il futuro del web, nonché la stella polare che guida Google, che annuncia periodicamente modifiche al suo algoritmo nella direzione della valorizzazione dei contenuti di qualità, anche a scapito di un’ottimizzazione professionale.
In realtà il web è in un momento di transizione, credo: la quantità di spazzatura accumulatasi negli anni è naturalmente piuttosto consistente; l’importanza dei testi nel web è stata largamente compresa, ma spesso in maniera superficiale, così tutti vogliono contenuti e molti li vogliono a caso e a basso costo; c’è un’incredibile quantità di giovani scolarizzati disoccupati disposti a scrivere per nulla e quindi spesso in fretta e male, senza formazione, senza colleghi, senza tempo e modo di fare una mezza ricerca sull’argomento.
D’altro canto però, proprio perché l’importanza dei contenuti è stata largamente compresa e forse anche perché i social media rigettano la spazzatura 1.0, il futuro dei testi per il web diventerà io credo più luminoso, via via che questo concetto si andrà a depurare delle interpretazioni distorte e verranno meno alcuni portali schifosi per il reclutamento degli scrittori, i terribili testi dei coupon, i siti civetta brutti&stupidi e tutti questi mostri post-moderni : )
I contenuti web che porterà il sol dell’avvenire ; ) allora, pagati un po’ di più da committenti meno miopi e scritti un po’ meglio da web writer meno disperati o impreparati, potranno tornare a tenere in considerazione almeno un po’ le massime della conversazione, ovvero quantità, qualità (non dire cose che ritieni non vere; non dire ciò per cui non hai prove adeguate!), pertinenza e chiarezza.
Ed è proprio intorno alla massima della qualità e alla sua interpretazione, in sostanza, che discutono D’Agata e Fingal, il raccontatore di favole e il controllore di fatti, da cui siamo partiti.
Perché un discorso intorno all’adesione di un testo a questa massima abbia senso però, è necessario che il testo in oggetto non sia appunto pura spazzatura web: il discorso violerebbe, altrimenti, la massima della pertinenza O__o
P.S. Il tema delle frontiere del web copywriting è affrontato anche in un bell’articolo del blogger/web writer Daniele Imperi.
Argomento di grande attualità…
Segnalo quest’articolo del Post di qualche giorno fa:
“Il Fact Checking, in Italia, sul web”
E l’editoriale di Giovanni De Mauro – su Wikipedia e verità – pubblicato sull’ultimo numero dell’Internazionale:
“Compito“