Se vendi servizi, c’è un ostacolo nascosto che devi superare per concludere ogni singola vendita: è il tabù sull’acquisto dei servizi.
Questo vale per qualunque servizio tu offra, ma a maggior ragione se i tuoi servizi sono relativamente nuovi, cioè sul mercato da vent’anni o meno.
Vale dunque se vendi consulenze di email marketing, trattamenti shiatsu o visite guidate in centro a Firenze.
Il rapporto con i servizi qua e là
L’acquisto dei prodotti è di gran lunga più tollerato.
In particolare nella cultura da dove provengo – non quella del Movimento, ma l’altra, quella più pop, che pure amo e rispetto – i principali prodotti per cui è lecito spendere sono: case, mobili, biscotti di marca, vestiti per partecipare ai matrimoni come ospiti, vestiti da sposa, vestiti da sposo, cibo per il ricevimento del matrimonio, fiori per allestire il luogo della cerimonia del matrimonio.
Eventualmente si può pagare il fioraio per l’allestimento, ma sempre perché i suoi servizi sono strettamente legati al prodotto: i fiori. Già la wedding planner, che svolge un lavoro non legato ad un prodotto fisico, viene presa in considerazione molto meno.
Inoltre, come diceva Enrica giorni fa, più i servizi hanno la forma di pareri professionali, più si pensa che debbano essere erogati gratis.
Ma il tabù è forte anche per i servizi più concreti: 2000€ per i lampadari li posso spendere, 150€ per liberare ore del mio tempo e farmeli montare no.
Oppure, mi ricordo di una volta che avevo deciso di prendere delle lezioni private di latino, per divertirmi un po’ dopo la laurea (ehm). La bibliotecaria con cui lavoravo al tempo mi ha insultata apertamente, come se avessi deciso di spendere per acquistare armi da fuoco. Le sembrava assurdo spendere soldi in quel modo. Il latino poteva andare, ma dovevo studiarlo senza spendere dato che era per puro piacere. Boh!
Non so dire esattamente da cosa dipende il tabù dei servizi. Credo sia legato ad una generale arretratezza delle strutture economiche e sociali, ma sia diventato più forte nel secondo dopoguerra, nella società degli anni Sessanta e decenni a seguire, per via del mito del prodotto industriale, del costo del lavoro più alto e pure del mito del fai da te promosso dalla controcultura.
Spiego brevemente: nei primi decenni del Novecento in parte era più normale acquistare servizi; penso ad esempio a questi servizi: sartoria, riparazione ombrelli, aiuto domestico a tempo pieno, lavanderia, scrittura di lettere (fatta dagli scrivani per analfabeti, totali o parziali).
Ad un certo punto è successo che è arrivato il benessere e si è portato dietro: costo più alto del lavoro artigiano o professionale in proprio e facilità di accesso a prodotti industriali, con relativo arretramento del bisogno di alcuni servizi e al tempo stesso mitizzazione del prodotto fisico in quanto tale. Non riparo l’ombrello, ma me ne compro un altro.
Intanto, c’era la controcultura che promuoveva il fai da te. Casa la imbianco da me e così via. Ma c’erano pure altre cose ad impedire lo sviluppo dei servizi: le donne fuori dal mercato del lavoro, il tempo libero per svolgere servizi gratuitamente in famiglia e così via.
So che a livello macroeconomico i servizi sono però sempre cresciuti: purtroppo non ho gli strumenti al momento per analizzare le due cose insieme.
Poi – facciamo un salto a caso – è arrivata la società postindustriale e i servizi lentamente stanno emergendo dal tabù.
Io direi molto lentamente: se pensiamo che vengono considerati “nuovi” servizi come la SEO o l’orientamento al lavoro…
Tanto per avere un’idea: negli Stati Uniti già nel 1916 era molto popolare un libro di consulenza alimentare, What to eat and when. Da noi l’educatore alimentare sembra invece una figura nuova.
Come alimentiamo il tabù
Spesso noi stessi venditori di servizi alimentiamo il tabù. Innanzitutto perché se per servizio eroghiamo qualcosa che ci viene facile fare, tendiamo a dare a questa cosa meno valore.
Ma come – penso a volte – è così divertente impostare una campagna AdWords, si adatta in modo così simpatico alla mia attitudine mentale, perché dovrei chiedere 600€ per impostarla al prossimo? Non importa che il prossimo abbia spesso un’avversione per quel tipo di logica necessaria ad impostare una campagna, che non lavori quotidianamente su tante campagne diverse, che non abbia dati su campagne gestite in passato e così via.
Su questa questione del “mi viene facile, quindi mi vergogno a farlo pagare” consiglio due cose: uno, i libri di Tara Gentile sullo sviluppo dell’attività e sul rapporto con il denaro; due, di analizzare l’esperienza del mio ciappinaro.
Ciappinaro a Bologna vuol dire, se ho capito bene, persona che fa un po’ di tutto e ti spiccia delle utili faccende. Questo signore noi lo chiamiamo tipo perché ci monti i mobili, le mensole e cose così. Parlandoci ho scoperto che lui è convinto che il suo lavoro non abbia valore, solo perché si diverte a farlo. Ma per me ha un valore inestimabile: io non so montare le mensole, ma pure se lo sapessi fare riterrei splendido non doverlo fare e poter nel frattempo fare un’altra cosa, tipo ottimizzare un sito oppure andare al bar con qualche amico.
Infatti, acquistare servizi non ha senso solo per ottenere un lavoro migliore o che noi non siamo in grado di fare: ad esempio un sito ben fatto, una causa da intentare in tribunale e così via.
Ha senso anche per delegare cose che noi sappiamo fare ma non abbiamo tempo di fare: le fatture, la manutenzione del sito, la pulizia dell’argenteria. O magari il tempo ce l’abbiamo, ma vogliamo liberarlo per lasciare spazio a cose che sappiamo fare meglio o più divertenti.
Superare il tabù
Per superare il tabù, innanzitutto dai valore al tuo tempo e pensa sempre a come potresti liberarlo delegando qualcosa.
Poi, cerca aiuto per migliorare le cose che non riesci a fare bene da solo: magari alimentarti in modo simpatico o impaginare la newsletter.
In sostanza, per dare più valore ai servizi che vendi, inizia ad acquistarne. Acquistali e con l’occasione prendi spunto per i tuoi: osserva come sei riusciti a trovarli (su Google? Con il passaparola?), come ti sono stati spiegati, come è avvenuta la comunicazione dopo il primo contatto, come ti sono stati erogati, se avresti voluto qualcosa in più. E anche cosa vorresti ancora, dopo il primo acquisto…
Servizi che ho acquistato io
Tra i servizi che ho acquistato io voglio portarti due esempi, diversi tra loro.
Uno è un servizio che ho acquistato tanto tempo fa, nel 2013: è la scrittura dei post del blog per il mio progetto online legato ai tour; a quel tempo avrei potuto benissimo farlo da sola, cioè scrivere i post io stessa. Eppure, mi rendevo conto che dovevo liberare quel tempo per dedicarlo alla pianificazione strategica, SEO e non.
Così, l’ho delegato a Marilena, una ragazza brillante che lavora ancora con me, e me ne sono dimenticata. Non completamente: io pianifico ancora tutto e a volte lavoriamo insieme ad alcuni aspetti, ma di fatto la cosa va avanti da sola, con splendidi risultati.
Un altro esempio sono i servizi fotografici che hai visto e che vedi su questo sito, realizzati da professioniste: in una prima occasione dalle Officine Biancospino e poi da Giui. Da sola, o con l’aiuto di un cugino, non avrei mai potuto avere delle foto decenti, perché davvero non sono fotogenica e inoltre non sono in grado di allestire un set o creare il concept per un servizio. In questo caso delegare era d’obbligo, ma pure in casi come questo spesso il tabù persiste.
Superare il tabù: SEO consigli
Se vendi servizi, è difficile superare il tabù attraverso la SEO in modo diretto. Però, una cosa che puoi fare sicuramente è organizzare i contenuti del sito tenendo presente due cose.
Primo, non fare un sito con cinque pagine, cioè home, chi sono, contatti e due pagine servizi. In questo modo ti metti nella condizione di essere trovato solo da chi già ha già il tuo servizio chiaro in mente o di non essere trovato affatto, se le keyword transazionali sono troppo competitive.
Non potrai quindi essere trovato da chi vive ancora il tabù ma potrebbe essere interessato ad uscirne.
Esempio: se sei un wedding planner a Roma, fai anche tante pagine dedicate alle location della tua città. Così, potrai essere trovato anche da chi sta scegliendo la location ma ancora non ha pensato a prendere una wedding planner, perché non sa che esiste o per il tabù.
Secondo, spiega bene come funzionano i servizi, metti il prezzo e così via, in modo da rendere i servizi più chiari, più accessibili, meno spaventosi.
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grazie per questo articolo così approfondito sull’analisi sociologica del perché è difficile l’acquisto di servizi. in particolare servizi venduti on line sono ancora sottovalutati, si pensa che on line tutto sia free.
Grazie Patrizia, purtroppo non è una vera e propria analisi sociologica, solo qualche spunto. Certamente sì, i servizi venduti online hanno qualche difficoltà in più ma per fortuna tutto sta cambiando e anche i piccoli business possono sopravvivere vendendo servizi interamente online.
‘In sostanza, per dare più valore ai servizi che vendi, inizia ad acquistarne’.
Non ci avevo mai pensato: è banale, ma può funzionare, soprattutto nel nostro campo.
Bell’articolo, fa riflettere, davvero!
Grazie mille!
Veramente un articolo utile! Grazie di averlo condiviso.
Grazie a te 🙂
Articolo letto solo ora ma che trovo ancora molto attuale e interessante 🙂
Grazie mille Annalisa 🙂